LUCIANO: La sospensione sulle trasparenze

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Noi che abitiamo “La Busa” lo sappiamo. In una piccola comunità si finisce per conoscersi tutti, quantomeno di vista, cosa che ci permette di sederci al bar tra amici e colleghi per immergerci in discorsi spicci, in pettegolezzi da aperitivo o in chiacchiere da cicchetto.

Conosciamo i volti, a volte i nomi e sicuramente i soprannomi: “Quel lì lʼè ʻmparentà co i Pompamerda, el ghà sposà la fiola dei Pinza che no lʼè la cosina dei Bègola…”

Eppure in tutto questo conoscersi e riconoscersi spesso accade di non sapere cosa si nasconda nel profondo dellʼanimo e delle passioni di un nostro ipotetico vicino: stupiti come quando da bambini scopriamo un nuovo gioco o un nuovo paesaggio o un nuovo gusto. E quello sguardo di nuova scoperta mi si è impresso in volto nel conoscere per davvero il nostro ipotetico vicino.

Allʼanagrafe risulta Luciano Neri, nato nel 1942 da genitori Emiliani di Castiglione dei Pepoli. Le vicissitudini di una guerra internazionale spinge la famiglia di Luciano a lasciare Castiglione per la più sicura Toscana, terra che gli darà i natali. Luciano è e si sente toscano. Cresce sotto i diktat di una famiglia severa per costruzione ed epoca. Sono gli anni cinquanta e quelle regole e dettami gli vanno stretti. A scuola non si vuol fare inquadrare, non vuole sottostare a quel sistema, ma esige di scoprire la propria individualità. Con ingente fatica affronta gli studi, armato di una voglia ribelle di trovare se stesso. Matura come perito elettrotecnico, per poi iscriversi allʼuniversità. Biologia non è un percorso che gli si addice e dopo due anni di tentativi si spinge alla scoperta dellʼuomo.

Su di una toscanaccia cinquecento marcia a nord: Brixen, poi Trento. Si parcheggerà a Sociologia, attratto da quello che stava succedendo in città. È il 1969. Sono gli anni caldi del ʼ68 che funesta lʼItalia intera. Per mantenersi gli studi esercita la professione di insegnante di applicazioni tecniche alle medie. Insegna e studia lʼuomo e lʼumanità; forse più fuori dalle aule che non sopra i libri. Ma è il tempo in cui sopra i libri non ci stava quasi nessuno.

La rivoluzione culturale di quegli anni lo coinvolge e da quellʼanimo voglioso di scoprire se stesso si getta alla scoperta del tutto. Durante le vacanze estive a cavallo della sua quattroruote viaggia per lʼItalia e per l’Europa senza una meta precisa. In questo suo zingaro peregrinare giunge a Salerno.

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Sulla spiaggia che un tempo vide lo sbarco degli americani vi sono centinaia di mattonelle colorate, spezzettate e levigate dallʼacqua, resti inermi di remoti bombardamenti. Per Luciano questi bagliori colorati esercitano un fascino malinconico che lo sprona a dare un senso a queste caduche pietruzze.

Comincia così a creare delle semplici composizioni. È il suo personale sessantotto, la sua rivoluzione. La mente gli si apre e riscopre la parte ludica di una vita forse dimenticata. Lavora con le mani e con la fantasia cercando di far uscire le emozioni per fissarle nelle proprie opere. Con il passare degli anni la tecnica si affina e si fa ricerca di leggerezza. Era necessario trovare un supporto capace di annullarsi in modo da permettere agli oggetti nella loro nuova unione di esistere per se stessi. È la scoperta del vetro a donargli il miglior risultato. Da quel momento quasi tutto sarà composto su lastre di vetro trasparente. Sono composizioni particolari quelle di Luciano. Figure appena accennate che pretendono di essere guardate a fondo per catturarne lʼessenza. Dalle mattonelle colorate Luciano passa a oggetti di riciclaggio, non così canonici come si potrebbe pensare.

Si trovano schede elettroniche di telecomandi, condensatori a valvola di vecchie radio, filamenti di rame, chincaglieria idraulica, parti meccaniche e perfino pettini di bambole; eppure per chi ha occhi ludici questi oggetti non ti si avventano contro con la loro storia passata, ne conservano il ricordo esprimendosi in un nuovo tutt’uno. Sembrano gridarti la loro rinascita: “Siamo una donna che danza!” Luciano come un moderno taumaturgo dona nuova vita ai deceduti reperti, imprimendo in essi un nuovo scopo, una carica emotiva che la composizione è tenuta a diffondere al pubblico, quasi fosse un atto di gratitudine per la nuova possibilità di esistere che gli è stata concessa.

Le opere di Luciano sono per bambini. Sono opere che solo chi non ha dimenticato la dimensione del gioco nella propria quotidianità può capire. Sono opere che quasi vorresti toccare, che ti mettono lʼinvidia per la semplicità di una composizione che vorresti aver fatto tu, ma che si gonfia signorilmente di una forte emozione che ti è dispensata senza arroganza. Il segreto di questa semplice e leggiadra presenza è forse racchiuso nella realizzazione stessa della composizione. Succede che un semplice oggetto doni una suggestione sensoriale o di immagine, ma lieve, un abbozzo. È una suggestione che indugia, lenta come quando entriamo in casa di estranei, bussando dolcemente, avanzando di soppiatto per paura di essere troppo invasivi, di rovinare o disturbare. Luciano accoglie questa sensazione e la deposita. A poco a poco vi affianca dellʼaltro materiale e ne vaglia le possibilità, la raffigurazione e la portata emozionale. A ogni pezzo le strade possibili si moltiplicano e in questo intricarsi di incroci che nascono e muoiono su tutte prende coscienza di se unʼimmagine, e quando questa comincia a radicarsi, Luciano la segue immantinente, curandola e raffinandola.

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Per quanto sia una persona a cui piaccia parlare, Luciano è per molti aspetti particolarmente timido e questi suoi quadri non sono altro che un modo per comunicare quello che a voce non riesce a fare; sono le sue confidenze e i suoi segreti più intimi. Forse anche per questo le sue creazioni erano fino ad ora a disposizione dei soli fruitori della sua dimora, di fortunati commensali, amici e parenti. Mi confessa di aver avuto un blocco artistico della durata di quindici anni, durante i quali non è stato composto nulla.

Lʼetà che avanza sullo scorrere del tempo ha fatto suonare la sveglia della rinascita e portato Luciano a voler riempire un vuoto interiore che si era andato creando nel quindicennio buio. Un vetro, un oggetto, unʼemozione. La macchina artistica si è rimessa in moto, rinnovata in un nuovo aspetto forse più attinente alla dimensione concettuale dell’anima, in cerca di un equilibrio armonico attraverso forme geometriche e geometrie, che vanno a trascendere la geometria euclidea per incarnarsi in un gioco di forme in cui il vuoto e il pieno hanno uguale peso, in cui non vi sono contrasti, ma sensazioni di una leggerezza ludica ed insieme metaforica. L’eterna pace sullʼequilibrio dellʼesistenza.

Le nuove composizioni fanno proprio il concetto kandinskiano di ritmo in una modalità più significativa rispetto al passato, seppure con rinnovata discrezione. Da questa rinascita Luciano non ha solamente trovato la forza di esprimersi nuovamente come a lui è sempre piaciuto, ma il coraggio di affrontare il pubblico, i bambini, gli adulti, gli anziani sognatori e i nuovi che avanzano. Le sue opere saranno in mostra nel mese di ottobre (dal 5 al 18 n.d.r) nello spazio espositivo del Gruppo Arti Visive di Arco: la Galleria “Il Transito”, in via Segantini 81 ad Arco.

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3 comments on “LUCIANO: La sospensione sulle trasparenze”

  1. Questo mi ricorda un piatto di saggezza su come percepiamo il mondo intorno a noi e come ci rapportiamo ad esso in conformità con i poli di riferimento deriva dall’esperienza: Colui che passa le sue giornate a contemplare un avocado saprà tutto sul avocado.

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