
Ricordo come tutto è cambiato.
So che molti di voi non credono all’astrologia, etichettandola come una non-scienza per fannulloni e pressappochisti, per gente inetta che si crogiola nel “è stato scritto così”, per coloro che “qualsiasi cosa faccia ormai è tutto inutile”. Ma è grazie a questi sfigati di prima categoria, a questi brufolosi smanettoni ossequiosi se noi oggi siamo quel che siamo; vivi esseri senzienti. Grazie alle loro seghe mentali (e non) abbiamo avuto la capacità di perdurare alla fine del mondo, ben oltre quel 21/12/2012 tanto temuto.
Eppure sebbene questi invertebrati da comodino riuscirono a scongiurare la fine del mondo decifrandone il codice salvezza nella volta celeste, non tanto egregiamente riuscirono a impedire l’effetto dell’allineamento planetario che avvenne nel febbraio del 1991.
Qualcosa di grosso sarebbe accaduto. Qualcosa che avrebbe per sempre sovvertito l’ordine naturale e mutato i poteri e gli equilibri mondiali.
Le prime avvisaglie si ebbero in gennaio. Il 9 i sovietici occuparono Vilnius per fermare l’indipendenza lituana. L’11 il congresso americano autorizzò G.H.W.Bush ad attaccare l’Iraq nella Guerra del Golfo, mentre dall’altra parte del mondo Emilio Fede, il Direttore esperto in favoreggiamento all’occupazione salariata di giovani ragazzine, ne da’ per primo notizia. Si arriva a febbraio che sembra aprirsi col favore degli astri con la fine dell’Apartheid. Eppure è solo fumo negli occhi. Nelle viscere del tempo l’ondata mistica sta per compiere la sua malefatta e condannare per sempre l’umanità. Il 3 febbraio Occhetto annuncia la trasformazione del PCI in PDS, il 18 l’IRA fa saltare le stazioni di Victoria e Paddington e il 19 febbraio, il giorno conosciuto dagli astrologi come il martedì nero, dallo studio di registrazione della Polygram Records esce inciso su di un disco in vinile il brano dell’apocalisse. Qualche ora prima nel bagno adiacente la sala incisione Jo Squillo si sta struccando per l’ennesima volta quando un movimento inconsulto le fa urtare la bottiglia di struccante che rovescia a terra. In quel preciso momento fa il suo ingresso Sabrina Salerno che scivola addosso a Jo. Entrambe rovinano sul pavimento sbattendo violentemente la testa. Dalle loro meningi sfatte nacque: Siamo Donne…
«C’è chi dice che l’amore
Oggi non ha più valore
Perché solo ai soldi pensa
E alla fine mangia in mensa
Burattini incravattati
Da un milione e mezzo al mese
Su e giù per la città
Sulla jeep a fare spese
Attento che cadi, attento che cadi
Attento che cadi, attento che cadi
(Vivido in loro il ricordo dello scontro)
C’è chi dice che l’amore
Oggi è in trasformazione tipica mentalità
Manager di società
C’è chi insegue la carriera
Poi a casa è cameriera
C’è chi muore dall’invidia
Per chi lavora nei mass media
Ma che vita vuoi, in che mondo sei
Siamo donne oltre le gambe c’è di più.»
Oltre le gambe c’è di più. Il verso ha richiesto centinaia di menti ad alto tasso di QI per essere decifrato. Al fine sembra che questa équipe di cervelloni sia riuscita con non poca fatica ad estrapolare il sottotesto e a palesarlo al mondo ignaro. La potta.
L’Aretino già la conosceva nel lontano 1524:
«Ma lasciam’ir le ciance, e sino al core
ficcami il cazzo, e fà che mi si schianti
l’anima, ch’in sul cazzo or nasce or muore;
e se possibil fore,
non mi tener della potta anche i coglioni,
d’ogni piacer fortuni testimoni»
Dopo di lui ne trattò con dovizia di particolari il Belli, che per essere sicuro che di quello si stesse parlando ne elencò tutti i sinonimi.
«Chi vvò cchiede la monna a Ccaterina,
Pe ffasse intenne da la ggente dotta
Je toccherebbe a ddí vvurva, vaccina
E ddà ggiú co la cunna e cco la potta.
Ma nnoantri fijjacci de miggnotta
Dimo scella, patacca, passerina,
Fessa, spacco, fissura, bbuscia, grotta,
Freggna, fica, sciavatta, chitarrina,
Sorca, vaschetta, fodero, frittella,
Ciscia, sporta, perucca, varpelosa,
Chiavica, gattarola, finestrella,
Fischiarola, quer-fatto, quela-cosa
Urinale, fracosscio, ciumachella,
La-gabbia-der-pipino, e la-bbrodosa.»
Così sul finir del ‘900 Zavattini la innalza a divinità
Sul lò al pudeva inventà
na roba acsè
cla pias a toti a toti
in ogni luogo,
ag pansom anca s’an s’ag pensa mia,
appena ca t’la tochi a combiòn facia.
Che mument! long o curt al saiòm gnanca.
La fa anc di miracui,
par ciamarla
an mot
a ghè turnà la vus.
Ah s’a pudès spiegaram ma
l’è difficil
cme parlà del nasar e dal murir.»
Però; c’è una cosa di cui nessuno sorprendentemente parla, nonostante in un epoca come la nostra si mettano le custodie anche agli accendini. Allora perché non parlare della custodia della Potta? Se perfino le portatrici sane di patacca si sono rese conto che oltre le gambe c’è di più perché non disquisire di ciò che la protegge?
Insomma, nessuno vorrebbe una fica rotta.
Mi sono espresso male.
Intendevo: rovinata perché non conservata con cura. Sì insomma. Perché non parlare delle mutande?
Era il 1949 e Giuseppe de Santis rischiò l’oscar per la miglior sceneggiatura con Riso Amaro. Per chi non lo conoscesse è un film in bianco e nero in cui per 108 minuti si vedono mondine piegate a novanta con stacchi di coscia da urlo e mutande di pizzo.
Per una mutanda Martin perse la cappa.
La storia d’Italia si fonda sull’evoluzione della mutanda femminile. E allora parliamone.
Sorca e fregna di qualità han da sempre invaso le spiagge dell’italico Paese e obbligatoriamente in mutande e reggiseno si sono mostrate al popolo ignorante.
«Scusa?»
«Che?»
«Ma che cazzate dici?»
«In che senso?»
«Io, abbello mio, non vado in mutande al mare!»
«Quelle del costume?!»
«Beh, ma guarda che sono due robe diverse. Il costume è un costume!»
E su questo non ci piove, ma, sua regalità Miss Fregna Bagnata’14 la sola cosa che cambia è il tessuto, e, per inciso, non in rapporto alla quantità di stoffa usata, bensì alla tipologia acrilico-catramosa.
«Intendevo che per quanto concettualmente differenti, per forma e taglio sono uguali alle comuni mutande.»
«È no è! Che sei proprio un maschio ignorante.»
«Mi scusi, non vorrei offendere più di quanto madre natura non abbia già fatto, ma credo che le categorie applicabili alle mutande “da giorno” siano associabili anche ai costumi.»
«Adesso, bello il mio frocione, vuoi farmi intendere che ti intendi di mutande?»
«Per quanto possa sembrare strano non lo tengo d’acciaio così da perforare brache e mutande, ma sono costretto al buon vecchio classico appasseraggio. Limone duro, palpatina, strofinatina, via la cintola, slaccio i bottoni, via i pantaloni, via le mutandine e mi appare la potta appelata o meno.»
«Mi fai proprio schifo!»
«Si? Perché non te l’hanno toccata neanche con un dito?»
«Ma ti senti? Sei il solito maschio ritardato, volgare e maschilista!»
«Può essere. Però io so chi è quello che hai sulla maglietta.»
«Morgan Freeman coglione!»
«Quello del film Apartheid?»
«Vedi che non sai un cazzo? Ha fatto uno sfracello di film magnifici.»
«Ti stavo coglionando. Quello è Mandela.»
«Sei solo un cretino.»
«Che oltre a conoscere un po’ di cose importanti di questo mondo sa anche che tra le tipologie di mutandine che le donne usano si annoverano gli slip: la più semplice e comune delle mutande, in origine solo per uomo, fa la sua comparsa nel fatato mondo del duplice cromosoma x sotto la gonnellina della tennista americana Gussie Moran. Solitamente in cotone è sgambata e attillata. Per molte donne del nuovo millennio, dio ce ne scampi, è la mutanda da ciclo mestruale perchè permette il posizionamento del pannolino salva sangue.»


«Mi fai schifo!»
«Non così in fretta dolcezza. Abbiamo poi il tanga: molto simile allo slip, ma molto più sgambato, permette ad un culo marmoreo di essere ammirato da noi comuni mortali che mai potremmo toccare e che almeno possiam guardare.»


«La vuoi smettere?»
«Non senza aver prima citato il perizoma. Capolavoro dell’arte del recupero, è l’emblema del periodo di crisi. Formato da una piccola stoffa anteriore è collegato da un cordoncino taglia-stronzi alla cintura dell’indumento stesso. Mai indumento è riuscito a tripartire la società svelandola per quella che è. Tra chi dichiara l’assoluta scomodità per lo sfregare del passante potta-ano (suore) e chi ne decanta il pregio una volta fatta l’abitudine (Suore convertite), spiccano coloro le quali affermano che tale sfregolio può essere considerato di per sé un piacere (Bocca di Rosa).


«Ma non ti vergogni?»
«Io? Perché dovrei? Sai quale faccio fatica a riconoscere? La brasiliana. Sì perché è una via di mezzo tra un perizoma e uno slip sgambato. Spesso lo confondo con il tanga, ma vengo subito redarguito dalla patacca al seguito. Così mi tocca andare a chiedere alla fregna in questione che tipo di mutande indossa. Forse sono le mie preferite.»


«…»
«Toglimi una curiosità. Io vedo nei negozi un sacco di culotte fichissime, super sexy, ma quelle che di solito si mostrano in pubblico sembrano fasce contenitive per lardo in esubero. Com’è possibile?»



«Sai dove te le puoi ficcare le culotte?»
«Dove si incastra Stanga?»
«Che? Come cazzo parli?»
«Non conosci Stanga? La cosa ti fa onore. Bisogna essere dei puttanoni da urlo con tanto di farfallina nei pressi della… farfallina per indossarli.»

«Senti coso.»
«Dimmi.»
«Sei proprio deficiente.»
«Sì, lo ammetto, ma non è tutta colpa mia. È uno degli effetti collaterali del surriscaldamento globale.»
O della crisi. Quest’anno si vendono anche mezzi slip.