È questa soglia dei 30, che si avvicina impietosa, sghignazzando ironica sulla caducità umana che mi rende sempre più inquieto. È il bisogno di sapere che in questo mio spazio, in questo mio tempo, concesso fino all’improvviso eterno compostaggio, abbia in qualche modo lasciato un segno. Pur piccolo. Ma che mi renda sereno nel poter dire di essere parte del tutto. E sono lì, con la testa a rimuginare in un mondo sociale che non riconosco, se non a tratti, su un pianeta che fa invidia, a chi forse, laggiù, nel profondo universo, nemmeno immagina cotanta esistenza. Allora sento di voler aiutare ipocritamente l’ambiente, che, potete starne certi, se ne frega altamente del comportamento dell’essere umano: siamo qui per estinguerci, è inevitabile. Eppure voglio dare il mio contributo proprio per questa mia specie animale, per quel poco di umanità che ancora riconosco e intendo salvaguardare. Quella che nella Natura riconosce la propria casa, la propria madre e non il prototipo contemporaneo chiamato «consumatore, ridotto a voyeur (troglodita o itinerante) in una “società dello spettacolo”»1.
1Frase tratta da «L’invenzione del quotidiano – Michel De Certeau»