Essere un giornalista, oggi, non è semplice per diversi motivi: crisi economiche, di carta, di etica, di casta, di politica, di relazioni, di luoghi e non-luoghi. Eppure ci sono moltissimi buoni giornalisti. Stanno sotto traccia, un po’ in disparte, fanno altri 5 o 10 lavori per mantenersi. Spesso, questi giornalisti, vi dicono che raccontare storie o fatti e permettere a chi non sa di sapere, è ciò che più di ogni altra cosa al mondo li spinge a continuare. In parte è vero. Eppure sono convinto ci sia qualcosa di più masochista, qualcosa di più profondo e perverso un qualcosa retto da un senso di contraddittorietà. Quando scrivono, i buoni giornalisti, entrano in quella storia, anche se poi la raccontano il più oggettivamente possibile, la fanno loro, se ne immergono fin sopra la testa, diventano parte del racconto, di quei fatti, diventa un loro vissuto. Ed ecco che cominciano i tagli, le punture, i fastidi, le incazzature, le incomprensioni, le ingiustizie, le sofferenze, i dolori, ma anche le gioie, le vittorie e i successi. Ci si riempie di vita, di contraddizioni, di esistenza.