La mia generazione è quella del «Dai! Ci provo», «Dobbiamo provarci», in una sequenza ininterrotta di esclamazioni propositive destinate a perdersi in un mare magnum di insoddisfazioni che siamo portati a vedere come tali. Non arriviamo al punto, a quel sognato traguardo, perché il raggiungimento dello stesso ci proietta in una nuova frustrazione, superata, nel migliore dei casi, da un ritrovato “Dai! Ci provo”. Non siamo stati abituati a tagliare il traguardo. Siamo una generazione spinta in una continua corsa, ad alzare continuamente l’asticella senza essere padroni del proprio campionato. Non ci è stato insegnato a gareggiare per noi stessi e per l’obiettivo personale. Ci hanno detto gioca e solo dopo averci messo in campo ci hanno dato le regole, mutevoli, anch’esse inconsistenti, mai certe. Siamo una generazione in difficoltà. A questo punto ci si chiede a chi dare la colpa. Ma è solo un altro effetto del modo di agire di questa generazione in questa società. Dobbiamo invece guardare a quello che è stato lo sviluppo della società negli ultimi decenni e decidere, personalmente, come vogliamo essere noi. E solo dopo fare i conti con quello che ci circonda.