È buio. Il sole non ha ancora cominciato a rischiarare il cielo. Riesco comunque a intravvedere un po’ di nuvole. Sto preparando lo zaino per la mia settima salita allo Stivo. Sono diversamente emozionato. So che non vedrò l’alba dalla cima, sia perché la giornata non è delle migliori sia perché, a differenza del tramonto,
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Sei ore, dodici minuti e dieci secondi. Quindici virgola quarantuno chilometri, duemila zero sessanta chilocalorie consumate e millequattrocentoquarantuno metri di dislivello. È questo il resoconto stringato fatto di dati di una delle più belle escursioni che abbia mai fatto. La salita allo Stivo di giugno è stata avvincente, provante ed estrema. Almeno per noi che
Il telefono vibra. È sera. Un messaggio su whatsapp. «Oh, va bene se la prossima volta viene anche il mio vicino? Non c’è mai stato». Mi chiede El Vedrèr.«Sì certo». Rispondo. Mi sono dato questa sfida, «12 volte la prima», per riuscire a veder concretizzarsi una mia idea. Ne sentivo e sento la mancanza, perché
Matilde, mia figlia, vuole la colazione. La chiede a gran voce dal suo letto. Una radiosveglia segna le ore 06.20, l’orologio da polso geolocalizzato le 06.22. Tra dieci minuti le tapparelle del soggiorno si alzeranno senza che io muova un dito; miracolo della tecnologia moderna. Tra 40 minuti suonerà la sveglia. L’ultima volta che ho
Lì, su quella lastra di ghiaccio che sormonta il tracciato, senza ramponi, senza racchette, con a destra un erto lembo di monte che si alza vertiginoso verso sud-est e dall’altra il burrone, due pensieri te li fai e anche qualche conto personale. Siete mai stati in una stanza anecoica? È una camera capace di assorbire