«Che silenzio Jhonatan. Nella baia non s’ode una bava di vento, non il fruscio di una foglia né lo sciabordio del mare sul litorale. Tutto tace Jhonatan. Dal nostro bel faro ci siamo messi a guardare l’orizzonte aspettando che venissero a salvarci e nel frastuono della preoccupazione abbiamo agito sotto paure e timori. Eppure in
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La pentola borbotta da sotto quel coperchio troppo grande per lei e sfiata fumi mefitici di inconcludenze. Questa non è una poesia. Ma.
«Sono davvero il solo a non capire?» «Capire cosa?» «Noi.» «Noi chi? Non c’è nessun noi. Guardati bene in torno. Noi chi?» «Io e te. Non vorrai dirmi che adesso non siamo più noi.»
Nudo. Quell’immago di me riflessa attonita, mi guarda perplessa.
Due corpi lontani che struggono le menti su di un legame (fallace?) per un morboso senso di rispetto
allora qualcosa è andato davvero storto. I recenti attentati di Parigi che nella notte tra venerdì e sabato hanno provocato la morte di oltre 120 persone rappresentano un punto di svolta epocale per il vecchio continente. L’Europa occidentale vive il suo 11 settembre, evoluzione terroristica di ben altra natura rispetto a quel mai troppo lontano
Non siete mai stati marinai se non vi siete persi in mezzo al mare, con la compagnia insidiosa delle onde che si infrangono sullo scafo e che sembrano indicare una rotta, mentre il vento ulula in altre vie e sulle vele portanti costringe il timone. L’orizzonte è curvo in lontananza, una leggera linea a distanza
Mi piace leggere quei libri che iniziano con la calda voce del narratore protagonista. Quando si sente la tranquillità e la pacatezza di chi il viaggio l’ha ormai concluso e sa che tutto è andato per il meglio. Mi piace immaginarlo, ancora sporco e sfiancato dalle innumerevoli fatiche, poggiarsi goffamente sulla sedia antistante la scrivania
Ci risiamo. Vorrei che non capitasse più, eppure ci risiamo. La frequenza di questi attacchi è schifosamente in aumento. “Un fenomeno passeggero” dicevano. Dottori, laureati in pompa magna, sicuri di una ragione infusa da crediti e ore di studio su tomi che altri hanno scritto per loro. È conoscenza questa? Prove sul campo? Che garanzie
«“Quello che non ho…” cantava De André e quello che non ho io, invece, è un elenco che solo a pensarlo mette i brividi. E poi perché? A cosa è dovuto questo bisogno incessante di cose sempre diverse, di buone nuove, di rotture con un presente che ci assuefà l’istante stesso che lo raggiungiamo. Vi